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AngeloPoliziano
Fabuladi Orfeo
Angelo Poliziano a messer Carlo Canale suo salute.
Solevano i Lacedemoniiumanissimo messerCarlo mioquando alcuno loro figliuolo nasceva o di qualche membro impedito odelle forze debilequello esponere subitamentené permettere che in vitafussi riservatogiudicando tale stirpa indegna di Lacedemonia. Così desideravoancora io che la fabula di Orfeola quale a requisizione del nostroreverendissimo Cardinale Mantuanoin tempo di dua giorniintra continuitumultiin stilo vulgare perché dagli spectatori meglio fusse intesa avevocompostafussi di subitonon altrimenti che esso Orfeolacerata: cognoscendoquesta mia figliuola essere qualità da far più tosto al suo padre vergogna cheonoree più tosto apta dargli maninconia che allegrezza. Ma vedendo che e voie alcuni altri troppo di me amanticontro alla mia volontà in vita lariteneteconviene ancora a me avere più rispetto allo amor paterno e allavoluntà vostra che al mio ragionevole instituto. Avete però una giustaescusazione della voluntà vostraperché essendo così nata sotto lo auspiziodi sì clemente Signoremerita essere exempta da la comun legge. Viva adunquepoi che a voi così piace; ma bene vi protesto che tale pietà è una espressacrudelitàe di questo mio iudizio desidero ne sia questa epistola testimonio.E voi che sapete la necessità della mia obedienza e l'angustia del tempovipriego che con la vostra autorità resistiate a qualunche volessi laimperfezione di tale figliuola al padre attribuire. VALE.
FABULADI ORFEO
MERCURIO annunziatore delle feste
Silenzio. Udite. E' fu già un pastore
figliuol d'Apollochiamato Aristeo.
Costui amò con sì sfrenato ardore
Euridiceche moglie fu di Orfeo
che seguendola un giorno per amore
fu cagion del suo caso acerbo e reo:
perchéfuggendo lei vicina all'acque
una biscia la punse; e morta giacque.
Orfeo cantando all'Inferno la tolse
ma non poté servar la legge data
ché 'l poverel tra via dietro si volse
sì che di nuovo ella gli fu rubata:
però ma' più amar donna non volse
e dalle donne gli fu morte data.
Séguita un pastore schiavone:
State tentabragata! Bono argurio
ché di cievol in terra vien Marcurio.
MOPSO pastor vecchio:
Hai tu veduto un mio vitelin bianco
ch'ha una macchia nera in sulla fronte
e duo piè rossi et un ginocchio e 'l fianco?
ARISTEO pastor giovane:
Caro mio Mopsoa piè di questo fonte
non son venuti questa mane armenti
ma senti' ben mugghiar là drieto al monte.
Va'Tirsie guarda un poco se tu 'lsenti.
TuMopsointanto ti starai qui meco
ch'i' vo' ch'ascolti alquanto i mie' lamenti.
Ier vidi sotto quello ombroso speco
una ninfa più bella che Dïana
ch'un giovane amatore avea seco.
Com'io vidi sua vista più che umana
subito mi si scosse il cor nel pecto
e mie mente d'amor divenne insana:
tal ch'io non sentoMopsopiù dilecto
ma sempre piangoe 'l cibo non mi piace
e senza mai dormir son stato in letto.
MOPSO:
Aristeo mioquesta amorosa face
se di spegnerla tosto non fai pruova
presto vedrai turbata ogni tua pace.
Sappi ch'amor non m'è già cosa nuova;
so come malquand'è vecchiosi regge:
rimedia tostoor che 'l rimedio giova.
Se tu pigli Aristeosuo dure legge
e' t'uscirà del capo e sciami et orti
e vite e biade e paschi e mandre e gregge.
ARISTEO:
Mopsotu parli queste cose a' morti:
sì che non spender meco tal parole
acciò che 'l vento via non se le porti.
Aristeo ama e disamar non vuole
né guarir cerca di sì dolce doglie:
quel loda Amor che di lui ben si duole.
Ma se punto ti cal delle mie voglie
dehtra' fuor della tasca la zampogna
e canteren sotto l'ombrose foglie:
ch'i' so che la mia ninfa el cantoagogna.
Canzona.
Uditeselvemie dolce parole
poi che la ninfa mia udir non vuole.
La bella ninfa è sorda al mio lamento
e 'l suon di nostra fistula non cura:
di ciò si lagna el mio cornuto armento
né vuol bagnar il grifo in acqua pura;
non vuol toccar la tenera verdura
tanto del suo pastor gl'incresce e dole.
Uditeselvemie dolce parole
poi che la ninfa mia udir non vuole.
Ben si cura l'armento del padrone:
la ninfa non si cura dell'amante
la bella ninfa che di sasso ha 'l core
anzi di ferroanzi l'ha di diamante.
Ella fugge da me sempre davante
com'agnella dal lupo fuggir suole.
Uditeselvemie dolce parole
poi che la ninfa mia udir non vuole.
Diglizampogna miacome via fugge
cogli anni insieme suo bellezza snella
e digli come 'l tempo ne distrugge
né l'età persa mai si rinnovella:
digli che sappi usar suo forma bella
ché sempre mai non son rose e viole.
Uditeselvemie dolce parole
poi che la ninfa mia udir non vuole.
Portateventiquesti dolci versi
drento all'orecchie della donna mia:
dite quante io per lei lacrime versi
e la pregate che crudel non sia;
dite che la mie vita fugge via
e si consuma come brina al sole.
Uditeselvemie dolce parole
poi che la ninfa mia udir non vuole.
MOPSO:
El non è tanto el mormorio piacevole
delle fresche acque che d'un sasso piombano
né quanto soffia un ventolino agevole
fra le cime de' pini e quelle trombano
quanto le rime tue son sollazzevole
le rime tue che per tutto rimbombano:
s'ella l'odeverrà com'una cucciola.
Ma ecco Tirsi che del monte sdrucciola.
Ch'è del vitello? ha'lo tu ritrovato?
TIRSI:
Sìcosì gli avessi el collo mozzo!
ché poco men che non m'ha sbudellato
sì corse per volermi dar di cozzo.
Pur l'ho poi nella mandria raviato
ma ben so dirti che gli ha pieno il gozzo:
i' ti so dir che gli ha stivata l'epa
in un campo di grantanto che crepa.
Ma io ho vista una gentil donzella
che va cogliendo fiori intorno al monte.
I' non credo che Vener sia più bella
più dolce in acto o più superba in fronte:
e parla e canta in sì dolce favella
che i fiumi isvolgerebbe inverso il fonte;
di neve e rose ha 'l volto e d'or la testa
tutta soletta e sotto bianca vesta.
ARISTEO:
RimantiMopsoch'i' la vo' seguire
perché l'è quella di chi io t'ho parlato.
MOPSO:
GuardaAristeoche 'l troppo grande ardire
non ti conduca in qualche tristo lato.
ARISTEO:
O mi convien questo giorno morire
o tentar quanta forza abbia 'l mie fato.
RimantiMopsointorno a questo fonte
ch'i' vogl'ire a trovalla sopra 'l monte.
MOPSO:
O Tirsiche ti par del tuo car sire?
Vedi tu quanto d'ogni senso è fore!
Tu gli potresti pur talvolta dire
quanta vergogna gli fa questo amore.
TIRSI:
O Mopsoal servo sta bene ubidire
e matto è chi comanda al suo signore.
Io so che gli è più saggio assai che noi:
a me basta guardar le vacche e ' buoi.
ARISTEO ad Euridice:
Non mi fuggiredonzella
ch'i' ti son tanto amico
e che più t'amo che la vita e 'l core.
Ascoltao ninfa bella
ascolta quel ch'i' dico;
non fuggirninfachi ti porta amore.
Non son qui lupo o orso
ma son tuo amatore:
dunque rafrena il tuo volante corso.
Poi che el pregar non vale
e tu via ti dilegui
e' convien ch'io ti segui.
PorgimiAmorporgimi or le tue ale!
Seguitando Aristeo Euridiceella si fugge drento alla Selvadovepunta dal serpente gridae simile Aristeo.
Segue poi UN PASTORE ad Orfeo così:
Crudel novella ti rapportoOrfeo:
che tuo ninfa bellissima è defunta.
Ella fuggiva l'amante Aristeo
ma quando fu sopra la riva giunta
da un serpente venenoso e reo
ch'era fra l'erb'e fiornel piè fu punta:
e fu tanto possente e crudo el morso
ch'ad un tratto finì la vita e 'l corso.
ORFEO:
Dunque piangiamoo sconsolata lira
ché più non si convien l'usato canto.
Piangiammentre che 'l ciel ne' poli agira
e Filomela ceda al nostro pianto.
O cieloo terrao mare! o sorte dira!
Come potrò soffrir mai dolor tanto?
Euridice mia bellao vita mia
senza te non convien che 'n vita stia.
Andar convienmi alle tartaree porte
e provar se là giù merzé s'empetra.
Forse che svolgeren la dura sorte
co' lacrimosi versio dolce cetra;
forse ne diverrà pietosa Morte
ché già cantando abbiam mosso una pietra
la cervia e 'l tigre insieme avemo accolti
e tirate le selvee ' fiumi svolti.
Pietà! Pietà! del misero amatore
pietà vi prendao spiriti infernali.
Qua giù m'ha scorto solamente Amore
volato son qua giù colle sue ali.
PosaCerberoposa il tuo furore
ché quando intenderai tutte e' mie mali
non solamente tu piangerai meco
ma qualunque è qua giù nel mondo cieco.
Non bisogna per meFuriemugghiare
non bisogna arricciar tanti serpenti:
se voi sapessi le mie doglie amare
faresti compagnia a' mie lamenti.
Lasciate questo miserel passare
ch'ha 'l ciel nimico e tutti gli elementi
che vien per impetrar merzé da Morte:
dunque gli aprite le ferrate porte.
PLUTO:
Chi è costui che con suo dolce nota
muove l'abissoe con l'ornata cetra?
I' veggo fissa d'Issïon la rota
Sisifo assiso sopra la sua petra
e le Belide star con l'urna vota
né più l'acqua di Tantalo s'arretra;
e veggo Cerber con tre bocche intento
e le Furie aquietate al pio lamento.
ORFEO:
O regnator di tutte quelle genti
ch'hanno perduto la superna luce
al qual discende ciò che gli elementi
ciò che natura sotto 'l ciel produce
udite la cagion de' mie' lamenti.
Pietoso amor de' nostri passi è duce:
non per Cerber legar fei questa via
ma solamente per la donna mia.
Una serpe tra' fior nascosa e l'erba
mi tolse la mia donnaanzi il mio core:
ond'io meno la vita in pena acerba
né posso più resistere al dolore.
Ma se memoria alcuna in voi si serba
del vostro celebrato antico amore
se la vecchia rapina a mente avete
Euridice mie bella mi rendete.
Ogni cosa nel fine a voi ritorna
ogni cosa mortale a voi ricade:
quanto cerchia la luna con suo corna
convien ch'arrivi alle vostre contrade.
Chi più chi men tra' superi soggiorna
ognun convien ch'arrivi a queste strade;
quest'è de' nostri passi estremo segno:
poi tenete di noi più longo regno.
Così la ninfa mia per voi si serba
quando suo morte gli darà natura.
Or la tenera vite e l'uva acerba
tagliata avete colla falce dura.
Chi è che mieta la sementa in erba
e non aspetti che la sia matura?
Dunque rendete a me la mia speranza:
i' non vel cheggio in donquest'è prestanza.
Io ve ne priego pelle turbide acque
della palude Stigia e d'Acheronte;
pel Caos onde tutto el mondo nacque
e pel sonante ardor di Flegetonte;
pel pomo ch'a te giàreginapiacque
quando lasciasti pria nostro orizonte.
E se pur me la nieghi iniqua sorte
io non vo' su tornarma chieggio morte.
PROSERPINA:
Io non credettio dolce mie consorte
che Pietà mai venisse in questo regno:
or la veggio regnare in nostra corte
et io sento di lei tutto 'l cor pregno;
né solo i tormentatima la Morte
veggio che piange del suo caso indegno:
dunque tua dura legge a lui si pieghi
pel cantopell'amorpe' giusti prieghi.
PLUTO:
Io te la rendoma con queste leggi:
che la ti segua per la ceca via
ma che tu mai la suo faccia non veggi
finché tra' vivi pervenuta sia;
dunque el tuo gran disireOrfeocorreggi
se nonche tolta subito ti fia.
I' son contento che a sì dolce plettro
s'inchini la potenza del mio scettro.
Orfeo vien cantando alcuni versi lieti e volgesi.
EURIDICE parla:
Oimèche 'l troppo amore
n'ha disfatti ambendua.
Ecco ch'i' ti son tolta a gran furore
né sono ormai più tua.
Ben tendo a te le bracciama non vale
ché 'ndrieto son tirata. Orfeo mievale!
ORFEO:
Oimèse' mi tu tolta
Euridice mie bella? O mie furore
o duro fatoo ciel nimicoo Morte!
O troppo sventurato el nostro amore!
Ma pur un'altra volta
convien ch'i' torni alla plutonia corte.
UNA FURIA:
Più non venire avantianzi 'l pièferma
e di te stesso omai teco ti dole:
vane son tuo parole
vano el pianto e 'l dolor. Tuo legge è ferma.
ORFEO:
Qual sarà mai sì miserabil canto
che pareggi il dolor del mie gran danno?
O come potrò mai lacrimar tanto
ch'i' sempre pianga el mio mortale affanno?
Starommi mesto e sconsolato in pianto
per fin ch'e' cieli in vita mi terranno:
e poi che sì crudele è mia fortuna
già mai non voglio amar più donna alcuna.
Da qui innanzi vo' côr e fior novelli
la primavera del sesso migliore
quando son tutti leggiadretti e snelli:
quest'è più dolce e più soave amore.
Non sie chi mai di donna mi favelli
po' che mort'è colei ch'ebbe 'l mio core;
chi vuol commerzio aver co' mie' sermoni
di feminile amor non mi ragioni.
Quant'è misero l'huom che cangia voglia
per donna o mai per lei s'allegra o dole
o qual per lei di libertà si spoglia
o crede a suo' sembiantia suo parole!
Ché sempre è più leggier ch'al vento foglia
e mille volte el dì vuole e disvole;
segue chi fuggea chi la vuol s'asconde
e vanne e vien come alla riva l'onde.
Fanne di questo Giove intera fede
che dal dolce amoroso nodo avinto
si gode in cielo il suo bel Ganimede;
e Febo in terra si godea Iacinto;
a questo santo amore Ercole cede
che vinse il mondo e dal bello Ila è vinto:
conforto e' maritati a far divorzio
e ciascun fugga el feminil consorzio.
UNA BACCANTE:
Ecco quel che l'amor nostro disprezza!
Oosorelle! Oodiamoli morte!
Tu scaglia il tirso; e tu quel ramo spezza;
tu piglia o sasso o fuoco e gitta forte;
tu corri e quella pianta là scavezza.
Oofacciam che pena el tristo porte!
Oocaviangli il cor del petto fora!
Mora lo sceleratomora! mora!
Torna la BACCANTEcon la testa di Orfeo e dice:
Oo! Oo! mort'è lo scelerato!
Euoè! BaccoBaccoi' ti ringrazio!
Per tutto 'l bosco l'abbiamo stracciato
tal ch'ogni sterpo è del suo sangue sazio.
L'abbiamo a membro a membro lacerato
in molti pezzi con crudele strazio.
Or vadi e biasimi la teda legittima!
Euoè Bacco! accepta questa vittima!
EL CORO DELLE BACCANTE:
Ognun seguaBaccote!
BaccoBaccoeuoè!
Chi vuol beverechi vuol bevere
venga a beverevenga qui.
Voi 'mbottate come pevere:
i' vo' bevere ancor mi!
Gli è del vino ancor per ti
lascia bevere inprima a me.
Ognun seguaBaccote!
BaccoBaccoeuoè!
Io ho voto già il mio corno:
damm'un po' 'l bottazzo qua!
Questo monte gira intorno
e 'l cervello a spasso va.
Ognun corra 'n za e in là
come vede fare a me.
Ognun seguaBaccote!
BaccoBaccoeuoè!
I' mi moro già di sonno:
son io ebriao sì o no?
Star più ritte in piè non ponno:
voi siate ebriech'io lo so!
Ognun facci come io fo:
ognun succi come me!
Ognun seguaBaccote!
BaccoBaccoeuoè!
Ognun cridi: BaccoBacco!
e pur cacci del vin giù.
Po' co' suoni faren fiacco:
bevi tue tue tu!
I' non posso ballar più.
Ognun cridi: euoè!
Ognun seguaBaccote!
BaccoBaccoeuoè!